Tutto inizia a metà Anni ’80. Gianluigi Landoni partecipa al movimento Hi_Tech, che si contrappone all’estetica del Gruppo Memphis... Prodotti minimal in metallo, soprattutto neri, e look tecno-industriale.
Che esperienza è stata, per lei? «Non ancora laureato, mi sono ritrovato in questo gruppo di designer che progettava con una visione, realizzando i prodotti che poi vendeva direttamente sul mercato. In fondo l’autoproduzione è lo sfogo del designer che realizza i progetti scartati dai marketing aziendali».
Poi ci fu il lavoro nello studio di Rodolfo Bonetto, quindi la libera professione e di lì a poco il Compasso d’Oro... «Sì, per il lavamani Wing. Ma la più grande soddisfazione è vedere i miei prodotti ‘vivere’ nelle case, sapendoli apprezzati non solo per l’estetica, ma come risposta a un vero bisogno».
Nei suoi progetti si riconoscono semplicità e un tocco classico. «Per trasformare le idee in opere dall’impatto positivo e duraturo sulla vita delle persone, serve un equilibrio. Cerco di disegnare oggetti armoniosi e di grande pulizia formale: è un lavoro che, assieme alla passione per dettagli e materiali, riesce a dare vita a prodotti puri, estetici ma anche fortemente narrativi».
C’è una tipologia di prodotto che non ha mai progettato e con cui vorrebbe cimentarsi? «In realtà lungo il mio percorso professionale ho affrontato tanti prodotti. ‘Dal cucchiaio alla città’ come ci insegna Ernesto Nathan Rogers, il cui pensiero ha influenzato la mia formazione di architetto. Ecco, forse a mancarmi sono proprio questi due estremi!».
Testi di Claudio Malaguti