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CasaFacile di Marzo 2023: l’editoriale del direttore

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Portavo la seggiolina davanti al comodino di mio padre e aprivo il cassetto per prendere uno stetoscopio di legno del trisnonno, con cui timbravo buste immaginarie di clienti immaginari. Era il gioco della posta. A quei tempi – avrò avuto 6 o 7 anni – non mi stupiva che dai cassetti uscissero cose bizzarre né che in cucina, tra le tovaglie o le posate, abitassero colla, cacciavite, spine elettriche, boccette di inchiostro e una pinza detta klemmer con cui mia madre tirava i fili per cucire l’arrosto... In casa nostra ogni cassetto era ‘un cassetto di mio padre’, chirurgo e bricoleur dallo spirito eclettico.

Ho imparato molto più tardi che è preferibile usare i cassetti per categorie omogenee; per tutta l’infanzia li ho aperti in ogni casa in cui andassi con la certezza di trovare qualche tesoro capace di scatenare la mia fantasia. Poi col passare degli anni la curiosità morbosa per i cassetti si è trasformata nella passione per il loro utilizzo: adoro comporre il tetris perfetto dei contenitori per il frigo; curo in modo maniacale il cassettone-dispensa dove travaso pasta e riso in barattoli di vetro che lo rendono un elegante espositore; ho un cassettone in metallo con cui ho accessoriato le basi della cucina che sembra un bar a scomparsa, e quello degli strofinacci ripiegati è bello come un quadro. I cassetto ben organizzati impreziosiscono qualunque cosa contengano e aprirli trovandoli in ordine migliora la nostra giornata.

Tuttavia devo confessare che in cucina ho due cassetti con attrezzi misti che ricordano quelli di mio padre, e a causa dei quali è scappata qualche lite con mio marito. Forse per familiarità con la mia infanzia li tollero senza fatica, ma quando ho l'impressione che le cose, nella vita o nel lavoro, mi sfuggano di mano, o quando il mondo fuori sembra più 'ingovernabile' del solito, mi scatta l'urgenza di metterli a posto. Poi, va detto, in quei cassetti torna immancabile il caos, sono l’angolo di sfogo per quella quota di disordine ineliminabile che è nelle vite di tutti (nemmeno Marie Kondo alla fine è riuscita a sopprimerla!).

E allora nella mia ode ai cassetti il finale è per loro, i cassetti (ancora) imperfetti: perché il gesto di rimetterli a posto è terapeutico; è un modo semplice e sicuro per sentirci – almeno un po’ – padroni della situazione.

 

Francesca Magni [Direttore]