Architetti & Designer

Architetti & Designer: Constance Guisset

Da ragazza la designer francese ha avuto esperienze nel mondo dell’economia e della politica, ma sentiva il richiamo dell’arte e del design. Finché un giorno arrivò un’offerta...

...quella di lavorare in veste di amministratrice nello studio dei fratelli Bouroullec, mentre da poco era entrata alla ENSCI, la Scuola di Design di Parigi. Il 2003 è l’anno della svolta. Il lavoro, quindi il diploma e, nel 2009, l’apertura del proprio studio. E, nel 2010, il primo successo, una super lampada...

In pochi anni, la sospensione Vertigo è diventata un’icona. Cosa la rende così speciale? «È difficile per un designer rispondere a questa domanda... Una volta che un oggetto esiste, appartiene a chi lo usa; sono loro che lo hanno reso un successo e che potrebbero dargli una risposta. Dai feedback che ricevo, credo che siano la leggerezza della lampada, unita alle sue dimensioni, la sua sensazione avvolgente ma non limitante e la sua delicatezza, a conquistare chi la usa».

Il suo è un design morbido e accogliente. Per scelta o per un’attitudine naturale? «Non saprei, ma di sicuro è una caratteristica del mio lavoro. Quel che è certo è che questa caratteristica è effettivamente presente ed è indubbiamente dovuta al mio processo creativo. Sono ossessionata dall'idea di accoglienza. Si tratta di accogliere al meglio i corpi, così come le menti, offrendo cose da vedere, usare e sentire. In tutti i miei progetti, cerco di mettermi nei panni dell'utente, di anticiparne i sentimenti e i bisogni».

Ha seguito un percorso atipico, passando dall'economia e da un impiego presso il Parlamento di Tokyo a una scuola di design all'età di 27 anni. Cosa ha motivato questo significativo cambiamento di carriera? «Sono arrivata al design attraverso una serie di passaggi, ma sono sempre stata un'amante del bricolage. Da bambina avevo una macchina per la lavorazione del legno e realizzavo ogni sorta di cose. Tutte le materie mi affascinavano, ma i miei studi mi hanno portato a una scuola di economia e poi a questo incarico in Giappone. È stata un'esperienza meravigliosa e l'influenza di quel periodo in Giappone rimane significativa nel mio lavoro. Ma ho capito subito che mancava qualcosa, un legame con l'arte, con la creazione. Avevo attività serali – pittura, scultura e così via – ma non erano sufficienti. All'istituto successivo, mi sono formata per lavorare in istituzioni culturali. Ma anche in questo caso, la frustrazione era troppo grande. Ho capito allora che volevo creare io stessa, non solo supportare gli artisti. Il design mi ha subito attratto per il suo lato artistico combinato con quello funzionale, ed è questa la strada che alla fine ho intrapreso».

Ha lavorato per sette anni nello studio dei fratelli Bouroullec. Oltre a loro, chi considera i suoi mentori, in termini di idee o semplicemente di persone che ha incontrato o con cui ha lavorato? «Ho avuto la fortuna di lavorare per i fratelli Bouroullec mentre studiavo design, come amministratore dello Studio. Ma non li considero i miei mentori, anche se ho amato quegli anni insieme e ho imparato molto. Mi hanno permesso di scoprire il funzionamento quotidiano di uno studio e di vederli all'opera. In realtà, sono molte le figure che mi ispirano quotidianamente, soprattutto quando ho l'opportunità di collaborare con altri creativi, che siano artisti visivi, coreografi, scrittori... Devo gran parte della mia vocazione di designer alla passione combinata per Bruno Munari e Isamu Noguchi, per il loro virtuosismo e la loro capacità di affrontare ogni tipo di progetto con umiltà».

Il movimento è un altro degli elementi fondamentali dei suoi progetti e lo esprime con le forme ma anche i colori... «Assolutamente sì, mi interessano molto i diversi modi di evocare il movimento, come se l'oggetto stesse per prendere vita. Il colore può svolgere questo ruolo, in particolare creando sottili variazioni, un ritmo, attraverso gradazioni o gradienti di colore, ad esempio».

Lei ama lavorare con le mani e crea i modelli dei suoi progetti. Il lavoro manuale ha ancora un ruolo nel design di oggi? «Credo che il gusto per il lavoro manuale sia ancora essenziale per qualsiasi aspirante designer. Per capire come funzionano gli oggetti, per innovare, bisogna amare il bricolage, smontare, rimontare, esplorare. La fase di modellizzazione rimane cruciale, perché permette di convalidare le proprie intuizioni e anche di risolvere problemi che sembrano irrisolvibili in 3D. Alcuni oggetti nascono addirittura dalla sola sperimentazione, come nel caso della lampada Vertigo».

È anche scenografa: nel 2019 ha progettato la scenografia per il Viaggio d'Inverno di Schubert alla Scala di Milano. Come designer, invece, c'è un tipo di oggetto che non ha mai realizzato e che le piacerebbe progettare? «Ho la fortuna di poter lavorare a progetti molto diversi. Sono interessata a cose nuove, a comprendere nuove sfide, nuove tecnologie e nuovi clienti. Questo amplia la mia prospettiva e aiuta tutti i progetti a progredire. Sono sempre curiosa di conoscere i progetti futuri. Mi piace l'idea di non sapere cosa mi riserva il futuro. In un campo diverso, mi piacerebbe molto progettare un ristorante o... creare un robot!».

Quest'anno ha creato anche una linea di occhiali colorati e originali. Come è nata questa collaborazione? «Questa collaborazione è stata avviata dall'azienda francese di occhiali Morel. Lavorano regolarmente con designer e architetti e mi hanno contattata direttamente. Ero entusiasta; anch'io indosso occhiali da sempre: sono il mio strumento più prezioso! E gli occhiali sono oggetti molto speciali, che bilanciano la massima intimità (un oggetto indossato a contatto con il corpo, in interazione con esso) e la massima apertura al pubblico (spesso sono la prima cosa che le persone vedono di noi). Li scegliamo perché riflettono chi siamo, ma anche perché rappresentano ciò che vogliamo dire di noi stessi. Grazie all'immensa competenza di Morel, abbiamo progettato una collezione piena di fluidità, con sfumature molto morbide. Anche qui, troverete i miei argomenti di ricerca preferiti!».

Intervista di Claudio Malaguti

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Claudio Malaguti