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Le case dei ciclisti

Quando sono in vacanza nella mia casina di Romagna la mattina presto vado sempre a camminare.
E ne incontro tantissimi, di ciclisti… 

Il percorso è uno di quelli irrinunciabili per chi sta in zona. Su su per il passo del Grillo e poi giù veloci verso la Valmarecchia o in direzione mare. Li incontro da soli, in coppia o a gruppi. Ci sono i giovani con i loro muscoli lucidi, ci sono quelli di mezza età e anche molti anziani, sostenuti dall'esperienza ma con il fiato che si è fatto corto con gli anni. Molti sono snelli e in forma smagliante, tanti hanno la pancia e pedalano proprio per buttarla giù. 

Tutti comunque stretti nelle loro tutine aderenti, piene di scritte o sponsor, in tinte fluo oppure all black, ma ce n'è ancora qualcuna vecchio stile. Tutti con avveniristici occhiali e caschetti, che sembrano farli schizzar fuori da film di fantascienza. E tutti in sella a bici più o meno tecnologiche, che in discesa fanno loro raggiungere velocità da paura. Tutti apparentemente simili ma invece così diversi. Perché c'è chi saluta con una smorfia anche se sono io a farlo per prima e chi ricambia e sorride perfino, chi urla 'buongiorno!' e chi guarda stupito e tira dritto, chi fa battute sul tempo, la temperatura o lo stato della strada; e chi canta a squarciagola 'Fin che la barca va (!)'...

Così da un po' mi diverto a immaginare le loro case. Case linde con le tendine di pizzo, case piene di luce con i fiori sul davanzale e tavole apparecchiate con le tovaglie tipiche di qui (quelle con la stampa ruggine) e nei piatti tagliatelle al ragù, piadine in tutti i modi e bicchieri di rosso... e tanti amici intorno.

Ma riesco a immaginare anche case un po' tristi e senza personalità, che si ispirano a modelli metropolitani, case-vorrei-ma-non-posso, dove imperano menu proteici che demonizzano i carboidrati: case antipatiche dove non vorresti stare. Sono quelle dei ciclisti che non salutano mai.
Testi

Giusi Silighini, il direttore

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